News06/02/2008 09:17
Ahi ahi, Varese è in eclissi totale di lunetta
«Questione di cicli naturali, ma anche di scelte di mercato rivelatesi problematiche»
IL PIÙ GRANDE giocatore italiano nella più grande squadra italiana di sempre. Dino Meneghin e la Pallacanestro Varese, un connubio unico e irripetibile che ha portato titoli a raffica in una città che non arriva a 100mila abitanti. Scudetti e Coppe di ogni genere, memorabili sfide internazionali agli storici rivali del Cska Mosca e del Real Madrid. Gli anni Sessanta e Settanta della grande Ignis, che oltre a Meneghin vantava gente del calibro di Aldo Ossola, Bob Morse, Manuel Raga e molti altri. Tempi irripetibili, da consegnare ufficialmente al passato. Oggi la discendente di quella mitica squadra, la Cimberio Varese, giace tristemente ultima sul fondo del campionato italiano. La discesa in Legadue, appena la seconda in oltre cinquant'anni di storia, è ormai questione di tempo. Un evento a suo modo storico, un momento tristissimo per i tifosi varesini e per tutti gli appassionati di basket in generale. Eppure non è il caso di intonare il de profundis. Parola dello stesso Dino Meneghin, che dall'alto della sua esperienza sentenzia: «È una questione di cicli. Varese ha già conosciuto la Legadue e ha saputo risalire: potrà rinascere anche stavolta».
Meneghin, che effetto le fa vedere la Pallacanestro Varese così in basso, a lei che ha vissuto gli anni d'oro di questa società?
«È una situazione che non mi piace, lo dico da ex giocatore ma anche da tifoso. La Cimberio sta vivendo una situazione pessima che non premia nessuno. Quando in estate fu costruita la squadra, nessuno pensava che sarebbe accaduto un fatto del genere. La società ha provato a cambiare rotta, sostituendo l'allenatore, ma è servito a poco. Evidentemente i problemi erano altri, a partire dai giocatori. Alla fine sono sempre loro che fanno la squadra. Se li scegli sbagliati diventa dura affrontare la stagione, è capitato un po' dappertutto».
E come mai è successo anche a Varese, una piazza con tradizione ed esperienza alle spalle, oltretutto l'anno successivo alla conquista dei playoff?
«Non so chi abbia costruito la squadra, se le scelte siano state dell'allenatore o del general manager. Non voglio nemmeno insegnare ai pesci a nuotare, sicuramente chi ha fatto le scelte estive avrà avuto le sue ragioni, ma è evidente che bisogna sapersi muovere nel mercato. Il problema più grande oggi sono gli americani che vengono spacciati per Michael Jordan, quando spesso si rivelano ben inferiori alle aspettative. È la stessa cosa che è capitata a Milano, Napoli e Treviso».
Squadre che tuttavia hanno ben altri budget rispetto alla Cimberio, ormai destinata alla retrocessione: riuscirà Varese a rialzare la testa?
«La passione non manca, il palazzetto gremito è lì a dimostrarlo. Così come la tradizione, perché la Pallacanestro Varese non è nata ieri ma ha oltre cinquant'anni di storia alle spalle. Anche la voglia di continuare da parte della società è un dato certo, bisogna però capire quanti soldi si è disposti a spendere. Il discorso è sempre quello: chi ha tanto denaro parte avvantaggiato, gli altri devono arrangiarsi e tirar fuori il sangue dalle rape. Ci vorrebbe qualcuno che dia una mano ai Castiglioni, Varese è una città ricca e di grande tradizione imprenditoriale, non è possibile che il peso della pallacanestro gravi tutto sulle spalle di una sola famiglia».
Al di là dell'aspetto finanziario, su cosa bisogna fondare la rinascita?
«Sulle capacità e la competenza dei dirigenti. Nella pallacanestro odierna è fondamentale programmare e scegliere bene gli stranieri. Il mercato globale offre giocatori di ogni genere, per destreggiarsi è essenziale non affidarsi esclusivamente ai giudizi degli agenti, che ovviamente cercano di spingere i loro assisiti. Un giocatore non solo andrebbe visto giocare di persona, ma bisognerebbe anche conoscerlo, per valutare le due qualità fondamentali nella scelta: la fame di vittorie e la voglia».
Michele Mezzancanica
Meneghin, che effetto le fa vedere la Pallacanestro Varese così in basso, a lei che ha vissuto gli anni d'oro di questa società?
«È una situazione che non mi piace, lo dico da ex giocatore ma anche da tifoso. La Cimberio sta vivendo una situazione pessima che non premia nessuno. Quando in estate fu costruita la squadra, nessuno pensava che sarebbe accaduto un fatto del genere. La società ha provato a cambiare rotta, sostituendo l'allenatore, ma è servito a poco. Evidentemente i problemi erano altri, a partire dai giocatori. Alla fine sono sempre loro che fanno la squadra. Se li scegli sbagliati diventa dura affrontare la stagione, è capitato un po' dappertutto».
E come mai è successo anche a Varese, una piazza con tradizione ed esperienza alle spalle, oltretutto l'anno successivo alla conquista dei playoff?
«Non so chi abbia costruito la squadra, se le scelte siano state dell'allenatore o del general manager. Non voglio nemmeno insegnare ai pesci a nuotare, sicuramente chi ha fatto le scelte estive avrà avuto le sue ragioni, ma è evidente che bisogna sapersi muovere nel mercato. Il problema più grande oggi sono gli americani che vengono spacciati per Michael Jordan, quando spesso si rivelano ben inferiori alle aspettative. È la stessa cosa che è capitata a Milano, Napoli e Treviso».
Squadre che tuttavia hanno ben altri budget rispetto alla Cimberio, ormai destinata alla retrocessione: riuscirà Varese a rialzare la testa?
«La passione non manca, il palazzetto gremito è lì a dimostrarlo. Così come la tradizione, perché la Pallacanestro Varese non è nata ieri ma ha oltre cinquant'anni di storia alle spalle. Anche la voglia di continuare da parte della società è un dato certo, bisogna però capire quanti soldi si è disposti a spendere. Il discorso è sempre quello: chi ha tanto denaro parte avvantaggiato, gli altri devono arrangiarsi e tirar fuori il sangue dalle rape. Ci vorrebbe qualcuno che dia una mano ai Castiglioni, Varese è una città ricca e di grande tradizione imprenditoriale, non è possibile che il peso della pallacanestro gravi tutto sulle spalle di una sola famiglia».
Al di là dell'aspetto finanziario, su cosa bisogna fondare la rinascita?
«Sulle capacità e la competenza dei dirigenti. Nella pallacanestro odierna è fondamentale programmare e scegliere bene gli stranieri. Il mercato globale offre giocatori di ogni genere, per destreggiarsi è essenziale non affidarsi esclusivamente ai giudizi degli agenti, che ovviamente cercano di spingere i loro assisiti. Un giocatore non solo andrebbe visto giocare di persona, ma bisognerebbe anche conoscerlo, per valutare le due qualità fondamentali nella scelta: la fame di vittorie e la voglia».
Michele Mezzancanica
share