News11/07/2005 09:34
Ursi: un arbitro da scudetto
Non c’è niente da fare: quando Milano si gioca una finale scudetto all’ultimo secondo, Livorno deve essere presente in campo. Se non come avversario almeno come arbitro. Giochi del destino: quest’anno è andata davvero così. Stefano Ursi da Livorno, classe 1971, arbitro di serie A dal ’98: è toccato a lui, con Paternicò e Lamonica dirigere al Forum di Assago l’incredibile gara 4 tra Milano e Bologna. Per Ursi tanti anni nei campi della serie B, poi la scalata verso la massima serie fino alla finale scudetto: un onore per la città, che sta sfornando direttori di gara di qualità (nella serie finale di quest’anno c’è stato spazio anche per Dino Seghetti). Un periodo d’oro per l’arbitro Stefano, in attesa tra l’altro del secondo figlio dalla moglie Francesca.
Si racconta che dopo la finale molti nostalgici Libertas l’abbiano chiamata...
«Ho ricevuto molti messaggi è vero. Tanti scherzosi, come quello del mio amico Riccardo Tedeschi e di chi ha visto questa sconfitta milanese come una sorta di rivalsa. Io sinceramente a tutto questo non ho mai pensato».
Ha diretto il top del top del campionato.
«La ricetta per arrivarci è una sola: tanta gavetta. Per me era già un sogno dirigere la semifinale, che mi era già capitato di arbitrare nel 2000».
Quando ha saputo che avrebbe diretto gara 4?
«Ero riserva in gara 3 a Bologna. Era un martedì. Dopo il match il designatore mi disse di tornare a Livorno, perché il giorno dopo sarei partito per Milano. C’era un match da dirigere...».
E come reagì?
«Emozionato certo. Ma ero anche tranquillo. E’ in queste situazioni che deve venir fuori il coraggio di prendere decisioni
e tenere in mano una partita. La tensione, quando arrivi al palazzo dove si dirige una finale, si taglia con il coltello. Hai tutti gli occhi addosso, vedi un fiume di gente che si avvia verso le entrate e sono tutti lì per il match».
Racconti gli ultimi secondi della partita.
«Rimbalzo di Bologna: volo sotto il canestro opposto perché sapevo che una conclusione ci sarebbe stata. Poi il tiro di Douglas da tre. Ho pensato immediatamente che il canestro era valido».
Come è nata la sua passione per il basket?
«Ho iniziato con la scherma: ero vicino di casa dei Montano. Poi seguii mio fratello e iniziai la trafila delle giovanili nella Libertas, fino ai Cadetti. Intanto arbitravo, e adesso eccomi qui».
Una volta in serie A ha diretto anche da solo...
«Milano-Trieste al Palatrussardi: c’erano ancora i due arbitri e il collega Colucci si infortuna subito. Deve uscire. Sul momento rimango interdetto, poi prendo in mano le redini della situazione. Grazie anche a giocatori e allenatori, che mi hanno aiutato».
Sono tanti i giocatori ‘livornesi in giro per il campionato’. Parla con loro?
«Sì, la ‘comunità’ è grande e quando ci vediamo scherziamo insieme: Garri, Giachetti, Cittadini, i due Gigena. Livorno è molto amata in giro. Soragna della Benetton è un fan assoluto del Vernacoliere».
Un’ultima cosa: ma lei dov’era il giorno della finale livornese dell’89?
«Non lo so: è un giorno che per un 17enne appassionato di basket non è mai esistito».
Francesco Marinari
Si racconta che dopo la finale molti nostalgici Libertas l’abbiano chiamata...
«Ho ricevuto molti messaggi è vero. Tanti scherzosi, come quello del mio amico Riccardo Tedeschi e di chi ha visto questa sconfitta milanese come una sorta di rivalsa. Io sinceramente a tutto questo non ho mai pensato».
Ha diretto il top del top del campionato.
«La ricetta per arrivarci è una sola: tanta gavetta. Per me era già un sogno dirigere la semifinale, che mi era già capitato di arbitrare nel 2000».
Quando ha saputo che avrebbe diretto gara 4?
«Ero riserva in gara 3 a Bologna. Era un martedì. Dopo il match il designatore mi disse di tornare a Livorno, perché il giorno dopo sarei partito per Milano. C’era un match da dirigere...».
E come reagì?
«Emozionato certo. Ma ero anche tranquillo. E’ in queste situazioni che deve venir fuori il coraggio di prendere decisioni
e tenere in mano una partita. La tensione, quando arrivi al palazzo dove si dirige una finale, si taglia con il coltello. Hai tutti gli occhi addosso, vedi un fiume di gente che si avvia verso le entrate e sono tutti lì per il match».
Racconti gli ultimi secondi della partita.
«Rimbalzo di Bologna: volo sotto il canestro opposto perché sapevo che una conclusione ci sarebbe stata. Poi il tiro di Douglas da tre. Ho pensato immediatamente che il canestro era valido».
Come è nata la sua passione per il basket?
«Ho iniziato con la scherma: ero vicino di casa dei Montano. Poi seguii mio fratello e iniziai la trafila delle giovanili nella Libertas, fino ai Cadetti. Intanto arbitravo, e adesso eccomi qui».
Una volta in serie A ha diretto anche da solo...
«Milano-Trieste al Palatrussardi: c’erano ancora i due arbitri e il collega Colucci si infortuna subito. Deve uscire. Sul momento rimango interdetto, poi prendo in mano le redini della situazione. Grazie anche a giocatori e allenatori, che mi hanno aiutato».
Sono tanti i giocatori ‘livornesi in giro per il campionato’. Parla con loro?
«Sì, la ‘comunità’ è grande e quando ci vediamo scherziamo insieme: Garri, Giachetti, Cittadini, i due Gigena. Livorno è molto amata in giro. Soragna della Benetton è un fan assoluto del Vernacoliere».
Un’ultima cosa: ma lei dov’era il giorno della finale livornese dell’89?
«Non lo so: è un giorno che per un 17enne appassionato di basket non è mai esistito».
Francesco Marinari
share