News20/09/2003 14:12
Tusek e Myers, due modi di essere ex
Lo sloveno vero “capopolo”, il romagnolo conquistava tutti a suon di canestri
Chissà quale delle due coppie di illustri “ex” la Scavolini si troverà ad affrontare direttamente, al Torneo di Urbino: se i “turchi” Booker e Blair o i “romani” Myers e Tusek. In ogni caso, li ritroverà tutti e quattro. Un bel poker d’assi, non c’è che dire, ed un bel quartetto del cuore e della nostalgia. Del cuore in un doppio significato: perché i due americani, l’italiano e lo sloveno sono rimasti nel cuore dei tifosi biancorossi e ci rimarranno a lungo; e perché ciascuno di loro, magari in modi diversi e a prescindere dalla caratura tecnica, il “cuore” ce l’ha sempre messo sul parquet pesarese negli anni di militanza nella Scavolini.
Più lontana nel tempo, naturalmente, l’epoca di Carlton Myers, sbocciato a Rimini e poi passato nella vicina Pesaro per affermarsi rapidamente nel gotha dei cestisti italiani e dare al pubblico della Vuelle molte belle soddisfazioni. Ben poco “populista” negli atteggiamenti, anzi a volte ombroso e spigoloso, era però nei “fatti” che metteva il suo cuore, in quel suo incredibile fiuto per il canestro e in quel modo davvero speciale di sentire la dinamica della partita, quasi a “prepararsi” l’occasione di tirare all’ultimo secondo per vincere di uno o due punti. E poi poco male se dopo il canestro vincente, con la gente in tripudio, guadagnava in fretta gli spogliatoi, stizzito con quanti, per poca fede o pazienza, gli avevano urlato disperatamente “tira! tira!”. Al di là del caratterino, sicuramente un grande con la “g” maiuscola.
All’opposto Joseph Blair e Marko Tusek, due che il consenso popolare lo cercavano anche nei gesti e nelle parole, sia pure a loro volta diversi l’uno dall’altro nello stile: più divertito e guascone quello del pivot americano, più accorato e talvolta sofferto quello dell’ala forte slovena. I sorrisi e le “clownate” del primo; il pianto del secondo dopo una sconfitta, o per aver giocato ugualmente malgrado un ginocchio gonfio e dolorante; ma la grande umanità di entrambi: il “sono tornato a casa mia!”, pronunciato da Blair all’inizio della sua seconda avventura pesarese o il “Buon Natale!” gridato da Tusek al microfono dello speaker del Bpa Palas...
E poi Melvin Booker, più misurato nelle espressioni e nei comportamenti, ma più che mai generoso nell’interpretare il suo mestiere di giocatore e di leader. Uno che a Pesaro stava benissimo e che Pesaro avrebbe voluto trattenere a vita. La sicurezza nel ruolo di playmaker: dopo Kicanovic e Cook, il terzo grande e “vero” regista nell’ultimo ventennio del basket pesarese, sperando che Djordjevic sia il quarto di questa serie di autentiche “icone” della tifoseria biancorossa: ai... posters l’ardua sentenza!
E’ sempre un po’ imbarazzante quando il presente si confronta col passato, ma forse, nell’anno in cui il presente ha meno da invidiare al passato, un pizzico di sana nostalgia e di “amarcord” senza più magoni è quel che ci vuole per preparare al meglio, psicologicamente, il futuro della vecchia e nuova Victoria Libertas.
GIANCARLO IACCHINI
Più lontana nel tempo, naturalmente, l’epoca di Carlton Myers, sbocciato a Rimini e poi passato nella vicina Pesaro per affermarsi rapidamente nel gotha dei cestisti italiani e dare al pubblico della Vuelle molte belle soddisfazioni. Ben poco “populista” negli atteggiamenti, anzi a volte ombroso e spigoloso, era però nei “fatti” che metteva il suo cuore, in quel suo incredibile fiuto per il canestro e in quel modo davvero speciale di sentire la dinamica della partita, quasi a “prepararsi” l’occasione di tirare all’ultimo secondo per vincere di uno o due punti. E poi poco male se dopo il canestro vincente, con la gente in tripudio, guadagnava in fretta gli spogliatoi, stizzito con quanti, per poca fede o pazienza, gli avevano urlato disperatamente “tira! tira!”. Al di là del caratterino, sicuramente un grande con la “g” maiuscola.
All’opposto Joseph Blair e Marko Tusek, due che il consenso popolare lo cercavano anche nei gesti e nelle parole, sia pure a loro volta diversi l’uno dall’altro nello stile: più divertito e guascone quello del pivot americano, più accorato e talvolta sofferto quello dell’ala forte slovena. I sorrisi e le “clownate” del primo; il pianto del secondo dopo una sconfitta, o per aver giocato ugualmente malgrado un ginocchio gonfio e dolorante; ma la grande umanità di entrambi: il “sono tornato a casa mia!”, pronunciato da Blair all’inizio della sua seconda avventura pesarese o il “Buon Natale!” gridato da Tusek al microfono dello speaker del Bpa Palas...
E poi Melvin Booker, più misurato nelle espressioni e nei comportamenti, ma più che mai generoso nell’interpretare il suo mestiere di giocatore e di leader. Uno che a Pesaro stava benissimo e che Pesaro avrebbe voluto trattenere a vita. La sicurezza nel ruolo di playmaker: dopo Kicanovic e Cook, il terzo grande e “vero” regista nell’ultimo ventennio del basket pesarese, sperando che Djordjevic sia il quarto di questa serie di autentiche “icone” della tifoseria biancorossa: ai... posters l’ardua sentenza!
E’ sempre un po’ imbarazzante quando il presente si confronta col passato, ma forse, nell’anno in cui il presente ha meno da invidiare al passato, un pizzico di sana nostalgia e di “amarcord” senza più magoni è quel che ci vuole per preparare al meglio, psicologicamente, il futuro della vecchia e nuova Victoria Libertas.
GIANCARLO IACCHINI
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