Edgar Sosa effettua nel migliore dei modi una rimessa a pochi secondi dalla sirena, arrivata grazie
al possesso recuperato per mano dell’astuzia di Miroslav Todic. La palla arriva nelle mani rapide e
funamboliche di Jerome Dyson, che in men che non si dica si beve come un mirto dopo cena sia
Trey Thompkins che Tarence Kinsey, non proprio i primi passati per caso dalle strade congelate di
Nizhny Novgorod. Dyson ci arriva al ferro, ma il circus shot con la clessidra che fa
metronomicamente scadere il tempo sbatte prima contro il ferro e poi contro i sogni di un’isola
intera, incollata alla televisione per seguire l’esordio assoluto della Dinamo Sassari in Eurolega.
Vincono i padroni di casa, che usano quell’88-86 con cui piegano gli uomini di Meo Sacchetti per
scaldarsi dalle temperature siberiane a cui sono sottoposti. Probabilmente, davanti a uno schermo
a Casalpusterlengo, lontano sia dalla Russia che dalla Sardegna, c’era anche un ragazzino che,
pochi mesi prima di quella partita, aveva le idee tutt’altro che offuscate dalla nebbia della Pianura
Padana: “Per me sarebbe un sogno tornare nella mia città e giocare per la Dinamo”. L’allenatore
che a fine anno avrebbe portato sul tetto d’Italia la rappresentante cestistica della Sardegna, quel
Romeo Sacchetti tutto run&gun da Altamura, aveva trasformato un sogno coltivato a lungo da
quel ragazzo in realtà, concreta e tangibile: a 16 anni, con in testa un’interrogazione a scuola e i
tanti allenamenti da una parte all’altra della sua Sassari, giocava qualche minuto contro l’Olimpia
Milano. E non stava nemmeno sognando.
