News25/10/2003 08:35

Mabo, c’è la Juve dei canestri

Dopo il flop di Udine in arrivo la corazzata Breil Milano


«Alla Mabo serve un processo di crescita accelerato». Luca Banchi l’aveva detto dopo il derby con Siena, l’ha ripetuto col megafono giovedì notte dopo l’occasione buttata a Udine. Il guaio è che non siamo a scuola, non esiste un Cepu che aiuti a rimettersi in pari con gli studi. Nel basket ti giochi tutto in quaranta minuti, se vinci la classifica gode e il morale si fortifica, se perdi hai una possibilità in meno di arrivare al traguardo prefissato. «Il campionato è crudele, spietato, non ci aspetta», ha tuonato il coach nelle orecchie dei suoi giocatori. In effetti la Snaidero ha vinto di 13 punti, ha sempre tenuto il pallino della partita, ma Livorno dava l’impressione netta di essere lì, di poter cambiare il vento della partita. Sarebbe bastato fare la cosa giusta al momento giusto. Mettere dentro il canestro del sorpasso, selezionare bene un tiro, rubare una palla, evitare dei passaggi da torneo di beach basket.
Perché alla fine la differenza la fanno gli episodi, l’attenzione ai particolari, l’applicazione mentale. L’esempio è Sinisa Kelecevic, un uomo normale di 2.07. Non svita le lampadine, non fa i numeri, non dà ‘cinque’ al pubblico. È l’esaltazione delle cose semplici, l’intelligenza di una banca dati in canottiera (23 punti, 32 di valutazione in 37’). Uno che gioca nella squadra e per la squadra, poi quando c’è bisogno di un tiro sicuro ci pensa lui, l’assassino silenzioso. La Mabo di Udine invece ha giocato a strappi, alternato cose buone (nel secondo tempino) a svolazzi imperdonabili, con Garri seduto su una nuvoletta, Cotani e Giachetti non sempre lucidi e concentrati, Raheim Brown capace di mettere in successione numeri positivi ed errori da playground con una facilità disarmante.
La Snaidero ha vinto, ringrazia e va alla cassa, ma Livorno deve fare un esame di coscienza, rendersi conto che soltanto diventando un blocco d’acciaio, giocando con umiltà e applicazione totale, la squadra potrà diventare competitiva per la salvezza. Un campionato con due retrocessioni in LegaDue non ammette peccati di gioventù, per questo servirà d’urgenza quel processo di crescita accelerato invocato dall’allenatore.
Ecco Milano. E domani si torna al PalaMacchia, in orario canonico (le 18.15, arbitreranno Facchini, Duranti, Chiari) e contro l’Olimpia Milano, cioè la Juventus dei canestri. Venticinque scudetti, la squadra più decorata d’Italia, con la storica sede di via Caltanissetta piena di coppe, trofei, ricordi. Oggi si chiama Breil, ma è la logica prosecuzione delle leggendarie scarpette rosse. Una squadra tosta, esperta, con una panchina profonda, dove figura anche un certo Mario Gigena, allevato proprio qui, nel Don Bosco. Giovedì sera la Breil ha perso in volata a Siena una partita che sembrava rubata ai playoff. Punteggio basso (75-69), tanti falli, contatti duri, quaranta minuti di intensità terribile. Cose da finale scudetto, ha detto chi era presente al PalaSclavo. Un altro esame durissimo per la Mabo, chiamata a resettare dopo Udine il suo programma mentale. Domani Charlie Bell e compagni dovranno dare il 110 per cento, con il gruppo italiano pregato vivamente di uscire allo scoperto. Naumoski play, Cooper, Sconochini, due torri come l’ex senese Topic e Sellers. Il quintetto base di Milano è un insieme di pluridecorati, col signor Petar Naumoski (ricordate? L’anno scorso fu il giustiziere) a dispensare saggezza e scienza. La panchina, poi, è infinita: Coldebella, Gigena, Vanuzzo, Lacey. Non siamo ai livelli del Montepaschi, ma ci manca pochissimo. La Breil di Caja difende allo spasimo, aggressiva, ha lunghi dominanti capaci di spazzolare i tabelloni. Insomma, una partita tutta da gustare. Per ritagliarsi una speranza la Mabo avrà bisogno anche di un grande pubblico.
(renzo marmugi)

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